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Gli strumenti per ascoltare la musica, un tempo analogici, come il giradischi, il registratore a cassette e la radio, vengono oggi sostituiti da una miriade di ricevitori e riproduttori digitali diversi: smartphone, lettori mp3, tablet e computer, ricevitori internet e satellitari, tutti device che hanno ormai in comune la connessione alla rete.
Una frammentazione che, nella cosiddetta era dell’accesso, ha spostato il consumo dall'acquisto di supporti musicali ad una fruizione più o meno legale della musica in rete, arrivando in questo modo all'evento che ha modificato e, per la prima volta, messo seriamente in crisi l'industria musicale, come si vede nel grafico qui sotto.
Come si può vedere, il declino assoluto nei ricavi è dovuto alla diminuzione delle vendite dei supporti fisici (in blu), mentre per l'international federation of the phonographic industry (IFPI) il mercato discografico globale, pur essendo ancora ben al di sotto i livelli del 1999, registra per il terzo anno di fila una sensibile crescita delle entrate.
Tuttavia ciò che stupisce di questo report del 2018 è la composizione del fatturato mondiale dell'industria musicale. Per la prima volta lo streaming (in azzurro) è la principale fonte d'introiti, tanto che tra piattaforme tipo Spotify o Deezer e store virtuali i ricavi digitali hanno rappresentato oltre la metà di tutte le entrate (54%), come evidenzia la IFPI.
Simili mutamenti del mercato musicale ci spingono ad approfondire almeno due questioni legate a queste percentuali. La prima riguarda come le strategie di marketing delle piattaforme streaming possano condizionare gli autori e la creazione di musica. Con la seconda ci si chiede in pratica quale sarà il futuro dell'industria musicale in rete.
- SPOTIFY STA SALVANDO O STA UCCIDENDO L’INDUSTRIA MUSICALE?
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Da quando esistono piattaforme come Spotify o Deezer sembra che il presente sia il massimo per diffondere e ascoltare la musica, visto che qualsiasi cosa è ormai reperibile online.
Sia per gli ascoltatori, che possono navigare in tutta libertà, sia per gli interpreti e per i compositori, che possono raggiungere più facilmente il grande pubblico, lo streaming può essere una manna dal cielo.
Tutto è cominciato un po’ di anni fa, quando s'è cominciato a scaricare album e film senza nessun freno e senza farci domande sulle conseguenze delle nostre azioni di pirateria culturale. L’idea era quella dello sharing (condivisione), e Napster fu il primo programma grazie al quale si potevano condividere files con il peer-to-peer (nodi paritari).
Eravamo tutti contenti di poter avere qualsiasi canzone in qualsiasi momento, solo che a un certo punto la questione si è fatta grave, si stava mettendo a rischio tutta l'industria della musica.
Un problema che esigeva la risposta a due domande essenziali. Come possono le case discografiche salvarsi da questa forma di fruizione libera e, di conseguenza, come può vivere un musicista?
Ecco allora nascere Spotify che ha riempito il cuore di produttori e musicisti inventandosi un modo semplice per superare il problema: ha sfruttato la nostra pigrizia.
Vogliamo tutto e subito, specialmente quella canzone che devo ascoltare per forza mentre faccio jogging o le pulizie di casa. Di solito erano le radio a ricoprire questo ruolo, adesso invece ci pensano le playlist, come ad esempio Peaceful Piano e Afternoon Acoustic, le due più seguite di Spotify.
Questa rivoluzione nel modo in cui ci si approccia alla musica, però, non ha solo trasformato il gesto di accendere la radio nel cliccare sul play verde della piattaforma. Pensiamo per es. a canzoni come Despacito: al di là del suo ritmo caliente, non si può non notare che di quel brano ne siano state pubblicate una quantità sospetta di versioni.
Così facendo Despacito può rientrare in molte più playlist. Ogni lista è poi pensata e realizzata in ogni dettaglio, dal logo al colore, fino a sapere quali brani al suo interno vengono saltati e sarebbe meglio rimuoverli.
Il sistema di analisi di Spotify, PUMA (Playlist Usage Monitoring Analysis), serve per cogliere ogni aspetto commerciale di una canzone.
In questo modo si dispone di dati utili per legare la pubblicità con la playlist stessa. Se stai ascoltando musica per fare cardio-fitness è probabile che l’inserzione sia quella di un paio di scarpe da ginnastica. La strategia di Spotify è semplice: Turning listeners into customers, trasformare gli ascoltatori in clienti a tutto campo.
Ecco allora che il pagamento dei diritti di una canzone non avviene in base alle volte in cui viene ascoltata, ma in relazione a tutte le altre canzoni di tutti gli altri artisti disponibili in streaming. Così però le etichette indipendenti, slegate dagli accordi tra le major, restano escluse da questo sistema "democratico".
Certo, il prossimo Ed Sheeran potresti essere tu, basta solo che firmi un contratto che permetta il rilascio di più versioni di una canzone da inserire in tutte le playlist del momento.
La popolarità di artisti e canzoni deriva molto più dalle scelte di chi vende che da quelle di chi la ascolta. Non stupisce allora che, così come si comprano follower su Instagram, si possano pianificare fenomeni a tavolino..
Alla fine viene dunque il dubbio è se Spotify non stia per caso, con le sue playlist pilotate, uccidendo la musica. Di certo rimane sempre che l'industria musicale non può e non deve chiudere.
Troppe persone, dall'artista più virale all'ultima neoassunta, vivono grazie essa. Saper rinnovare le strategie in un mercato in continua evoluzione è dunque necessario. ll problema è mantenere in giusto equilibrio la promozione di mercato con il sostegno di nuove proposte musicali, quelle economicamente più rischiose.
Si è così ancora davanti a un tema storico, che esiste da quando la musica è l'industria in un settore, quello dell'intrattenimento, vitale nelle società d'oggi. Ed è qui che sorge spontanea la già accennata seconda questione sul suo futuro, quella che andiamo a considerare con la domanda posta qui di seguito.
- L'INDUSTRIA MUSICALE E' MORTA?
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La risposta, alla luce di quanto s'è detto finora, è affermativa per molti esperti del settore, ma forse sarebbe meglio tentare un'analisi più dettagliata, e perfino più ottimistica, dell'attuale situazione.Se ciò fosse vero allora prima cosa sarebbe quella di partire dal chiederci piuttosto come ha fatto l'industria musicale tradizionale a morire così in malo modo?
Una delle possibili cause, oltre alla pirateria digitale, è sicuramente da cercarsi fra i cosiddetti millennials (o nativi digitali che dir si voglia).- LA DOMANDA -
Mentre la vecchia industria musicale si aggrappava ad ogni cosa pur di salvare il profitto dai resti di un modello economico ormai superato, sono oggi i millennials i consumatori dominanti. Cosa ancora più importante, essi controllano il mercato più promettente per l'industria musicale, quello dei dispositivi mobili.
Secondo recenti stime essi usano le app, i I e i portali musicali il 75% in più rispetto a qualsiasi altra fascia di età. In altre parole, i millennials sono oggi i maggiori consumatori di musica, ma soprattutto sono quelli che ne parlano di più condividendo ascolti.
La vecchia industria musicale giudicava il successo di un artista con le vendite dei dischi. Oggi è diverso e anche i maggiori brand se ne sono accorti. Marchi come Coca Cola o Red Bull spenderanno quest'anno (2018) più di un miliardo di dollari per sponsorizzare eventi musicali.
Il loro obiettivo è chiaro: instaurare un legame col cliente incrementando il valore del marchio tra i nativi digitali.
Quello che hanno capito i brand è che la musica è una parte importante dell'identità dei ragazzi. La musica può avere la stessa importanza del modo in cui si vestono o scelgono le loro amicizie. Andare ai concerti è così un'espressione di identità sociale.
I marchi sanno che, se riescono a identificarsi con un DJ come Skrillex, essi diventeranno parte dello stile di vita degli estimatori di un gruppo, una cantante o una qualsiasi crew che sia.
Il risultato è che l'industria musicale d'oggi e i grandi marchi stanno entrambi inseguendo una nuova generazione di artisti, quelli che possono catturare e monetizzare l'attenzione, dettando così comportamenti di consumo anche in campo extra musicale. Pazienza quindi se poi non venderanno dischi. - L'OFFERTA -
Tutto quello che serve per registrare un brano oggi lo si può trovare in un normale computer e in un software a buon prezzo. Una delle più potenti DAW (Digital Audio Workstation) è Logic Pro, che costa solo 200 dollari. Nella DAW si trovano strumenti virtuali, synth, pattern e stili, così come tutto il necessario per editare e produrre audio.
In questo modo, gli artisti possono produrre musica più velocemente, con più efficienza, spendendo meno rispetto a prima. Gotye ha scritto la sua “Somebody That I Used to Know” a casa dei genitori vicino a Melbourne, diventando numero uno nelle hit parade di 23 paesi e presente nella top ten in più di trenta.
I millennials hanno familiarità con queste tecnologie, ma ancora più importante è la loro attitudine open-source all'apprendimento on line. Cerca “usare Logic Pro” su YouTube e troverai migliaia di tutorial.
Siti come Reddit hanno intere comunità, con decine di migliaia di membri, fondate sulla produzione musicale. La tecnologia è economica e queste risorse di studio sono gratis.
In questo modo, gli artisti possono raggiungere il successo senza aver mai messo piede in uno studio di registrazione. Grazie alla rete la possibilità di scoprire nuova musica è al punto più alto di tutti i tempi. La tecnologia, così come ha reso facile la produzione musicale, li ha anche provvisti di un modo per raggiungere fan in qualsiasi parte del mondo.
In questo modo essa gioca in tutte e due le metà del campo: crea più musica che mai e la pubblica su piattaforme aperte alla curiosità di milioni di ascoltatori. "SoundCloud" ha più di 250 milioni di utenti attivi ogni mese e i millennials scoprono la loro musica grazie a questi canali.
L'intermediario dell'industria musicale è stato tagliato fuori, sostituito da uno scambio e un incontro fra pari. Naturalmente le grandi star dominano ancora il mercato, ma i millennials stanno erodendo quel modello..
Sta per crollare anche un'ultima barriera, quella di potenti team di autori e produttori che permette loro di creare in serie musica pop commerciale. Oggi, servizi come FindMySong mettono in contatto i musicisti indipendenti, in modo che possano formare i loro team di songwriting e produzione.
Il modello FindMySong si giova del fatto che ci sono più artisti che rifiutano i vincoli loro solitamente loro imposti dall'industria musicale. Con la tecnologia e un efficace sistema di distribuzione, i consumatori e gli artisti indipendenti uniti contro le major stanno, almeno negli USA, modificando il business della musica.
Questi possono condizionare il mercato e la fine dell'industria musicale, sotto questo aspetto, non pare una catastrofe.
Pare anzi una visione alla power to the people guidata dai giovani, i veri artefici delle nuove tendenze. Del resto non è sempre stato così in musica?