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1 - DOVE VA LA NUOVA MUSICA

All'alba del terzo millennio l'evoluzione del linguaggio musicale appare confusa. Pare addirittura avverarsi la previsione di Brian Eno (anni '80 del XX sec.), secondo cui buona parte della nuova musica sarebbe diventata opera di non musicisti, di artisti privi di studi classici, spesso anche incapaci di leggere il pentagramma.

Oggi l’elaborazione elettronica dei suoni potenzialmente accessibile a tutti purché abbiano un computer, con una buona scheda sonora e un software audio adeguato. 

In questo modo la vera competenza musicale, ciò che un tempo distingueva le composizioni artistiche da quelle dell'ingenuo dilettante, lascia sempre più spesso spazio alle competenze informatiche.

APPROFONDIMENTO: LO SVILUPPO LINEARE E VERTICALE DELLA MUSICA


Oltre tutto sono anche cambiati i modi e i mondi capaci di stimolare nuove idee musicali. Novità che sono oggi realizzabili non più in modo lineare, progressivo, sviluppate cioè a partire dalle proprie radici culturali, ma sulla base di un quadro saturo di mondi, di materiali sonori provenienti da ogni angolo della storia e della geografia.

Domina il sovrapporsi dell'ascolto, in uno stesso giorno possiamo venire a contatto con epoche e stili musicali differenti. All'evoluzione orizzontale del linguaggio, si è sostituito uno sviluppo globalizzato, parallelo e verticale, che spinge a chiederci in che modo la musica possa ancora sviluppare una propria ricerca d'avanguardia.

Trovare una risposta è complicato, tuttavia rimane che essa nasce ancora dai compositori che non si fermano a una formula già sperimentata, ma tentano nuove vie mettendosi in costante discussione. La musica dell’attuale non può riciclare il già noto, ma neppure limitarsi alle novità basate sulla tecnologia più alla moda del momento.


2 - LA COMPOSIZIONE NELLA MUSICA DI RICERCA

Negli ultimi decenni, non tutta la ricerca ha rifiutato in toto le regole tradizionali della musica. Molti compositori, infatti, costruiscono oggetti sonori nei quali la tecnologia rappresenta il loro elemento forte, anche se poi, al di là del tentativo di superare ogni regola prestabilita, essi utilizzano un metodo di lavoro dal sapore classico, quasi artigianale.

Spesso infatti i materiali su cui questi nuovi autori "classici" basano le loro opere vengono frantumati e ricomposti in strutture logiche comunque ben riconoscibili: ritmi ostinati, pulsanti, ardite polifonie con sequenze melodiche, armoniche, dinamiche e timbriche tanto evidenti quanto imprevedibili, potremmo quasi dire astratte.

Eliminando in questo modo la dimensione storica della musica, vengono rielaborati elementi come la scheggia di una canzone rock, la frase di una Sinfonia di Mahler o il rumore secco di un vetro, arrivando così a una globalizzazione sonora di solito basata su due modi di comporre musica.

Un primo frutto dell’improvvisazione di compositori deejay che si risolve in un consumo istantaneo della musica, esaurendo così l'esperienza sonora da loro proposta nel momento stesso in cui avviene.

Un secondo fondato sul lento e classico perfezionamento di un'idea musicale, su una ricerca intesa come scienza e permanente sintesi artistica sonora dei "mondi" in cui viviamo i nostri giorni.

All'interno di questi due poli compositivi si può quasi dire che vi sono oggi tante correnti musicali quanti compositori, le cui opere tentano di dare valore artistico all'attuale immaginario sonoro.

Un valore, una novità che sono veramente tali solo quando la musica riesce a suscitare un'autentica sorpresa, l'incanto di un'espressione capace di rappresentare una originale sintesi sonora e musicale del proprio tempo.


3 - AUTORI E PERCORSI MUSICALI ALL'ALBA DEL NUOVO MILLENNIO

All'interno di questo sviluppo parallelo, solo apparentemente caotico di idee e forme, individuiamo qui (solo) alcuni compositori che stanno, o hanno, percorso proprie vie di ricerca nel campo di una nuova musica.

In questo modo si vuole, malgrado la complessità del caso, suscitare una sana curiosità e di conseguenza la ricerca di un nuovo ascolto. Un porto nel quale, prima o poi, gli amanti del linguaggio musicale troveranno un approdo da cui poi ripartire per nuove scoperte.

GYÖRGY KURTÀG
 

La condensazione delle forme classiche nella miniatura musicale caratterizza l’opera di György Kurtág (1926), il quale crea un nuovo incanto che dipende dalla continua deviazione dalle aspettative dell'ascoltatore. Deviazioni dalla forma del brano ottenute prima attraverso la concentrazione di strutture e fraseggi tematici di breve durata, poi ribadite, dal punto di vista del colore timbrico, con la scelta di organici strumentali per lo più piccoli, spesso inconsueti, che depurano il suono da ogni eccesso espressivo.


LUCIANO BERIO
 

Un caso a parte, anche per la versatilità della sue opere, è quello di Luciano Berio (1925-2003). Un musicista onnivoro, Berio ha condotto la sua ricerca con mezzi esclusivamente musicali, lavorando spesso anche sul testo letterario, inteso come puro materiale sonoro e legame fra narrazione e musica.

Partendo dai suoi primi lavori teatrali, come Passaggio (1963) e a Laborintus II (1965), passando attraverso le due opere scritte con Italo Calvino (La vera storia del 1981 e Un re in ascolto del 1984), si nota la sua ricerca musicale autonoma, che incanta anche per la coordinazione dei gesti fisici e musicali degli interpreti, come nelle stesse celebri 14 Sequenze per strumenti solisti (1958-2002).

Che si trattasse di melodie popolari, come nelle Folk songs (1964), oppure di opere preesistenti di autori come Luigi Boccherini (Quattro versioni originali della ritirata notturna di Madrid, 1975), Franz Schubert (Rendering, 1988) o Giacomo Puccini (nuovo finale per Turandot, 2002), Berio ha saputo trasformare la composizione in una nuova forma di pensiero sonoro.

Ecco i brani che compongono le sue "Folk Songs" per mezzosoprano e orchestra (1964/1973): 1. Black is the colour (USA) 2. I wonder as I wander... (USA) [3'23''] 3. Loosin Yelav (Armenia) [5'22''] 4. Rossignolet du bois (Francia) [8'19''] 5. A la femminisca (Sicilia) [9'58''] 6. La donna ideale (Italia) [11'33''] 7. Ballo (Italia) [12'55''] 8. Motettu de tristura (Sardegna) [14'31''] 9. Malurous qu'o uno fenno (Francia) [17'19''] 10. La Fiolairé (Francia) [18'19''] 11. Azerbaijan Love Song (U.R.S.S.) [21'12'']


GYÖRGY LIGETI


L’obiettivo della perfezione costruttiva ha dato luogo anche a un tipo di ricerca musicale differente, basata sulla continua ricombinazione di elementi già conosciuti e sperimentati aggiungendovi ulteriori nuovi dettagli.

Il tipo di scrittura utilizzato da György Ligeti (1923-2006) è in questo senso sintomatico per la rinuncia al classico sviluppo dei materiali musicali impiegati. Egli predilige un montaggio di inquadrature sonore molto simile al linguaggio visivo, tanto che alcune sue composizioni sono state felicemente impiegate nel cinema.

Di Ligeti ascoltiamo "Continuum" per clavicembalo solo (1968) inserito come colonna sonora di questo filmato che immagina il continuum flusso di notizie a cui siamo tutti esposti nel mondo d'oggi. Segue un particolare studio per piano. 


SALVATORE SCIARRINO
 
Una direttrice simile a quella di Ligeti è riconoscibile nella musica di Salvatore Sciarrino (1947), il quale approfondisce analisi del suono portandola alla sua essenzialità, quasi a una dimensione ecologica dell’ascolto, basata su un'invenzione articolata in diverse disposizioni e concatenazioni di elementi e frammenti.

Sciarrino cerca di cogliere le radici del suono e del processo attraverso cui, organizzandosi, diviene musica. Sia con organici strumentali ridotti, come in "Quaderno di strada" (2003), sia con organici ampliati a dismisura, come negli "Studi per l’intonazione del mare" (2000), Sciarrino affascina comunque, mettendoci sempre in contatto con l'intima natura della musica strumentale e del canto.


BEAT FURRER
 
Una domanda sull’origine del suono muove anche il lavoro di Beat Furrer (1954) fin dalle sue prime composizioni. Nel rapporto con i testi e nel trattamento della voce egli inserisce espressioni non impostate, non educate, intese come ritorno alla natura primaria dell’emissione vocale, mentre sul piano strumentale procede passando dal pieno al vuoto sonoro per sottrazione progressiva di materiali.

L’elemento visivo dell'ascolto che Furrer propone sottolinea spesso la sua ricerca con forti gesti teatrali. In Fama (2005), da lui definita una forma di «teatro dell’ascolto», gli strumentisti abbandonano via via il palcoscenico e continuano a suonare dietro le quinte, o in altri punti della sala, mentre il direttore rimane sul podio e continua a guidare, in collegamento video, quella che agli occhi dello spettatore appare come un’orchestra assente, spettrale.


LIZA LIM e GUO WENJING


Nella cosiddetta World Music il fenomeno è evidente: suoni di strumenti che appartengono al catalogo etnologico mondiale vengono per lo più fusi in un mixaggio elettronico, come se provenissero da un’unica cultura sempre più piatta e scontata.


Certo, creare le condizioni di un dialogo fra le diverse memorie musicali, non di un monologo colorato di elettronica e cultura locale, è difficile e finora non ha prodotto risultati felici, ma rimane il fatto che si tratta di un terreno sul quale la ricerca musicale sembra obbligata, oggi, a esercitarsi per aprire veri percorsi innovativi.

Come succede ad esempio nel concerto The compass (2006), dell’australiana Liza Lim (1966), oppure ancora nell’opera del compositore cinese Guo Wenjing (1956), che con l’introduzione del didgeridoo aborigeno australiano o dell’ehru, violino cinese a due corde, tenta di rompere con il loro uso tradizionale e, al tempo stesso, di reiventare la forma-concerto costruita sulle possibilità di quegli strumenti.


WOLFGANG RIHM


Wolf­gang Rihm (n. 1952) è universalmente riconosciuto come uno dei compositori che più sono riusciti ad andare oltre la lezione delle avanguardie del Novecento senza rinnegarle, senza affidarsi completamente alla tecnologia, senza adagiarsi nella restaurazione del passato.

Rihm recupera moduli del passato ma gli conferisce sempre una veste inedita. L’invenzione formale corrisponde anche a una ricerca sul timbro, sul suono, che procedono sempre insieme.

Molto spazio, nella ricerca di Rihm, hanno le sue composizioni di teatro musicale. Nell'opera "Die Hamletmaschine" (1983-1986), i canoni teatrali classici sono resi imprevedibili attraverso un lavoro di distruzione e ricostruzione musicale.

In Séraphin (1994) il coro, senza testo, viene piegato a suoni onomatopeici con un’espressività inedita. In Die Eroberung von Mexico (1987-1991), la sperimentazione si focalizza su un impasto singolare di coro registrato e dal vivo, insieme ad un organico strumentale "squilibrato", con pochi archi e un alto numero di ottoni e legni.

La sua ricerca traspare anche nelle sue composizioni per orchestra da camera, per es. in "Nach-Schrift"(1982-2004), nei suoi Lieder, come pure in opere sinfoniche come "Jagden und Formen" (1995-2001), nella quale ritmica e timbrica aggiungono forza al tentativo di dare voce a nuove sonorità orchestrali. />

Le date delle composizioni di Rihm, spesso compiute lungo l’arco di diversi anni, sono un segno del suo concepire la musica come un work in progress che prosegue opera dopo opera e, a volte, anche nella creazione di un solo titolo, come se il cammino fosse più importante dei singoli risultati raggiunti.


4 - LA RICERCA MUSICALE IN SCENA

Il rapporto della musica con la scena e con il teatro costituisce sempre un terreno di ricerca musicale molto fertile. Nel campo del melodramma, però, la varietà di esperienze tende a ramificarsi in una variegata rete di proposte, con diversi modi di intendere la drammaturgia, la scena e l’elemento visivo in genere.

In pratica non c’è oggi episodio del teatro musicale che non possa essere posto in relazione con una particolare esperienza registica, scenografica o video-artistica. Difficile risulta quindi orientarsi nella produzione attuale, anche se possiamo, tra i compositori più significativi di teatro musicale, almeno ricordarne i seguenti.

HANS WERNER HENZE - HARRISON BIRTHWISTLE


L’ampio catalogo operistico di Hans Werner Henze (1926 - 2012) si caratterizza per un rapporto con la tradizione del melodramma, ma quel che colpisce è come la sua essenzialità abbia toccato vertici assoluti di poesia. 

In opere come Venus und Adonis (1997), L’upupa (2003) e Phaedra (2006-07), si trova qualcosa di molto vicino ai "numeri" dell’opera ottocentesca: duetti, terzetti, arie solistiche, concertati.

Queste forme, però, non valgono come riproposizione del passato, bensì come l'occupare uno spazio che la sua musica colma di una poetica nuova, evocativa e drammaturgica anche al di fuori dell’ambito teatrale.

Le sue non sono forme musicali chiuse, ma a dar loro vita sono emozioni basate su contenuti extramusicali, in cui trovano spesso spazio i valori dell’amicizia e della memoria.

Anche la musica di Harrison Birtwistle (1934) possiede una vena drammaturgica che non si limita alle sue opere teatrali, ma traspare anche in altre sue composizioni strumentali e vocali.

La sua tecnica di montaggio musicale non corrisponde alle forme classiche dello sviluppo, ma si fonda su un intenso uso della variazione, una tecnica compositiva presente nella maggior parte dei suoi lavori.

In teatro questo conduce a una pluralità dei punti di vista interni alla narrazione, una polifonia di prospettive che ha come centro espressivo non la scena, e neppure il libretto, bensì la scrittura musicale.

In The Minotaur (2008) l’uso di un vasto assortimento fiati e percussioni amplia il campo degli sguardi interni all'opera, affidando alla creazione ritmica il compito di sostenere un vocalità del tutto anticonvenzionale.


MATTHIAS PINTSCHER - MAURICIO KAGEL - HEINER GOEBBELS
 

Matthias Pintscher (1971) usa mezzi squisitamente musicali per modificare la relazione con la scena. L'effetto incanto, nel suo caso, è ottenuto attraverso il lavoro sui colori, sulla timbrica orchestrale.
La sua L’espace dernier (2002-03) ha la freschezza della novità pur usando un organico classico, un coro trattato con ampia libertà e un assortimento vocale tradizionale.

Il teatro musicale è stato anche il luogo della sperimentazione di una musica carica di ironia e di una vena comica, spinta verso la dimensione dell’assurdo musicale. In questa direzione si muove Mauricio Kagel (1931-2008) che trasforma gli schemi dell’Opéra comique settecentesca parodiandola.

Le composizioni di Kagel sono disinibite e prive di pregiudizi: di opera in opera egli non cerca di fissare formule su cui tornare, ma sperimenta invece soluzioni che hanno come primo effetto quello di produrre una differenza rispetto a quello che è già noto.

L’idea di «composizione come messa in scena» è al centro delle preoccupazioni di Heiner Goebbels (1952), il cui lavoro si concentra sulla scoperta di sonorità e venature musicali nascoste nei suoi scelte testuali, evidenziate da una notevole inventiva ritmica e timbrica e un sapiente uso della tecnologia digitale.

Le composizioni di Goebbels sono caratterizzate da una miscela di elementi e di tradizioni – da quella accademica al jazz, al rock e al pop – allontanate, però, dai loro spazi consueti e sottoposti a una rielaborazione su percorsi inediti.


MICHAEL VAN DER AA - GEORGES APERGHIS - HELMUT OEHRING
 

Anche Michel van der Aa (1970) ha esplorato la relazione fra immagine registrata, scena teatrale, esecuzione dal vivo ed elaborazione elettronica del suono in tempo reale in After life (2005-06), opera basata sul film omonimo del regista giapponese Hirokazu Kore-Eda (1962).

In una stazione di passaggio fra vita terrena e celeste i personaggi devono isolare un momento ella loro esistenza, e van der Aa su spunto costruisce un percorso della memoria che è tipico del suo lavoro, ma che qui ottiene un effetto particolare per il modo in cui avviene l’interazione fra i vari media impiegati.

Nel lavoro di Georges Aperghis (1945), la ricerca sulla relazione fra gli elementi vocali, strumentali, scenici e gestuali è come un’indagine continua sulle loro relazioni, messe alla prova tanto nel caso di opere destinate espressamente al teatro, quanto in quello di brani nati per una forma concertistica.

In entrambi gli ambiti la scrittura di Aperghis resta fondamentalmente drammaturgica, ricca cioè di aspetti espressivi e fisici che movimentano l’esecuzione introducendovi una dimensione rappresentativa a più facce organizzata dalla forma musicale.

La dimensione dell’incanto può essere raggiunta anche su una base emotiva. Su questa linea Helmut Oehring (1961), figlio di genitori sordomuti, sceglie una soluzione diversa per un’opera da camera di forza impressionante, Dokumentation I (1993-1996).

Accanto a una voce di controtenore tre attori sordomuti alternano la lingua gestuale dei segni all’emissione di suoni rochi, inarticolati, che Oehring organizza in modo che diventino la controparte del discorso muto delle mani. Tra suono e silenzio si muove un’orchestra di piccole dimensioni con elaborazione in live electronics.