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 - GRECI -

Anche per i Greci la musica aveva origine divina: la lira, lo strumento simbolo nazionale, era attribuita al dio Mercurio che l’aveva ricavata dal guscio di una testuggine marina sul quale aveva teso strisce di budello seccate al sole.

Per questo i Greci attribuirono alla musica grande importanza sociale, non solo in quanto arte, ma anche come disciplina indispensabile alla formazione morale e intellettuale dei cittadini. Essa occupava quindi un posto di preminenza nell’insegnamento scolastico.

Al di là dei miti, anche Pitagora (571-497 a.C.) dava grande importanza alla musica. Per lui l'universo è il risultato di esatti rapporti matematici riconoscibili nella perfetta armonia della natura. I caratteri dell’armonia musicale sono gli stessi dell’armonia cosmica e quindi la musica è il mezzo diretto per conoscere la suprema armonia, cioè dell’Assoluto.

Ascolto: Epitaffio di Sicilo (scheda con notizie-testo-melodia e link all'audiovisivo)
Approfondimento: l'educazione musicale in Grecia

 

Fu così che i Greci gettarono le basi di una scienza musicale, studiando la fisica del suono e fissando la terminologia, la notazione, la teoria e la filosofia. I concetti fondamentali della teoria musicale greca – tono, ritmo, melodia, armonia – sono ormai universali, così come il nome greco di musica, che ebbe origine dalle mitiche divinità – le Muse – cui i poeti si rivolgevano, invocandole, affinché concedessero loro la forza della memoria e dell’ispirazione

Platone (427-347 a.C.) scrive in proposito: "Nulla è più efficace dell’educazione musicale, poiché il ritmo e l’armonia penetrano nell’intimo dell’anima rendendola armoniosa (...) e chi è educato alla musica sa cogliere i difetti delle cose, gli errori di esecuzione di un lavoro (...) e come ha in disgusto il brutto, così ama il bello, lo accoglie nell’anima come nutrimento, cresce buono e onesto e odia il brutto prima ancora di possedere l’uso della ragione".

 - ROMANI -

A differenza di altre civiltà antiche, quella di Roma non produsse uno stile musicale proprio, ma seppe piuttosto assimilare e adattare gli stili delle diverse culture con le quali venne via via a contatto. Popolo inizialmente sobrio nei costumi e negli svaghi, preferiva le attività fisiche alla musica, ritenuta arte frivola ed effeminata.

Con l’ampliarsi però dei confini, con la diffusione della ricchezza del benessere, questo modello di vita si modificò e, specialmente per l’influenza della cultura greca, anche a Roma si diffuse il gusto per la musica. Va però ricordato come, proprio per il suo carattere cosmopolita e polo di attrazione di tutta l’area mediterranea, europea e medio-orientale, Roma divenne punto di riferimento per il Cristianesimo e quindi centro della Chiesa nascente, un dato storico fondamentale anche per la musica.

I musicisti acquistarono così crescente considerazione e i “virtuosi” erano lautamente pagati. I famosi iaculatores, che si esibivano nelle vie e nelle piazze di Roma, mescolavano canti e musica a giochi di prestigio e acrobazie, precorrendo così i giullari medioevali.
Approfondimento: la musica cristiana


Nato in Palestina, il Cristianesimo fu all'inizio un episodio storico del popolo ebreo, una religione ebraica quindi, ma nuova, professata da ebrei che esprimevano con le stesse melodie dei loro padri i sentimenti di speranza e di gioia per il compiersi delle antiche profezie. 

Diffusosi poi in altri paesi, il Cristianesimo raccolse seguaci anche in Oriente ed in Occidente, i quali a loro volta trasferirono nel culto cristiano i simboli, i rituali e i canti delle proprie antiche religioni. 

Le Salmodie, gli Alleluja e gli inni delle prime comunità cristiane segnarono quindi il confluire di tradizioni diverse e per quel tempo realizzarono forse l’idea simbolica di un canto universale, che rappresentava la voce di tutte le genti del mondo.

La salmodia cristiana era di diretta derivazione ebraica e consisteva in un canto basato per lo più sulla ripetizione sillabica e recitativa – accentus – del testo su un’unica nota che, a ogni conclusione di frase, si modulava su un’altra nota generalmente vicina; aveva un ritmo libero, fondato sull’accento delle parole e poteva essere responsoriale cioè con risposta, se il fraseggio veniva alternato tra il sacerdote e il coro dei fedeli, o antifonale se il fraseggio veniva invece alternato fra due cori.

Gli Alleluja, canti di giubilo – jubilationes – si caratterizzavano per i lunghi vocalizzi che Sant’Agostino giustifica così: «...l’uomo prorompe in una specie di voce di esultanza senza parole, sì che egli pare godere della voce stessa, incapace, per troppo gaudio, di spiegare con parole ciò che gode».

Gli inni, nati in Asia Minore, giunsero successivamente in Occidente, anche per merito di Sant’Ambrogio (340-397), vescovo di Milano ed erano vere e proprie melodie – concentus – create su un testo poetico; in esse il ritmo non era più libero come nelle salmodie e negli alleluia, ma veniva scandito sul metro e gli accenti del verso poetico.

Ben impostato sulle solide fondamenta dell’antica cultura greca, ricco della vitalità espressiva e spirituale della tradizione ebraica, il canto cristiano conobbe, proprio nei periodi oscuri del disordine civile e morale che succedette alla fine dell’Impero Romano di Occidente, il suo momento di massimo splendore.

L’affermarsi della religione Cristiana dette infatti vita a un nuova musica, cui contribuirono i fedeli delle numerose province dell’Impero. Dapprima furono semplici ed umili canti, intonati con un profondo contenuto spirituale, ma da cui prese poi forma, nei secoli successivi, il fulcro medioevale della musica europea: il canto gregoriano.

Il ruolo fondamentale della musica nella liturgia cristiana è ancora ben sintetizzato da Sant'Agostino quando disse che "CHI CANTA PREGA DUE VOLTE".